#Leopolda13 e la sinistra hipster, ovvero: “i 4 minuti a vostra disposizione sono terminati”

Secondo giorno di congressi, in vista delle primarie PD, per Matteo Renzi e  l’hashtag #Leopolda13 continua a riservare emozioni fortissime.

100 tavoli pieni di niente, 4 minuti ad intervento poi la voce fuori campo annuncia: “spiacente, i 4 minuti a vostra disposizione sono terminati”.

Va in scena una parodia del sogno bipolare americano, le camice bianche, i look curati e il profluvio di device apple e android. Va in scena una (non-)sinistra morta le cui parole chiave, ops…. scusate…. i cui hastags sono il sogno ultraliberista fatto carne viva e tremula. C’è di tutto dentro, da narrazioni tossiche come le start-up, definite unico metodo per risolvere la disoccupazione giovanile, a duro e puro populismo (@zeropregi twittava apostrofandoli Grillini del PD). L’importante è stare a sinistra ma parlare come parla la destra, non quella solita più o meno criptofascista a cui siamo abituati, ma una destra soft, che rappresenta più uno zio permissivo che non un padre autoritario (cit. @amicofaralla). Ma sopratutto bisogna aspettare in fila indiana il proprio turno per parlare, dopodichè ” i 4 minuti a vostra disposizione sono terminati”.

Non c’è nulla dentro i cento tavoli, è un berlusconismo “rosè” che ricicla trombati e gente pronta a cambiare casacca. Il mitologema del carro dei vincitori per eccellenza sul quale si stanno aggrappando tutti, pur di avere un posticino nella Nuova Sinistra di Domani, sul quale bisogna “starci dentro” pena la scomparsa totale.

Main theme è proprio il futuro, ma è un futuro patinato, in HD, lontano mille miglia dai colori e dagli angoli bui delle strade, dove chi non ha nulla (neanche i diritti fondamentali) continuerà a vivere come un dannato. I sottotemi sono quelli di una cultura liberista dove un retweet conta più di un’idea; si parla un pò di antimafia (con elogio dei morti, mai parlare dei vivi mi raccomando), si parla di Legalità ma senza giustizia (sociale), si parla di Competenza e Merito, ma non di solidarietà o fratellanza. Si parla di così tanti argomenti che in realtà non si sta parlando di nulla e come al solito l’importante è parlarne per 4 minuti dopodiche:  ” i 4 minuti a vostra disposizione sono terminati”.

Non si parla di sfruttamento, carceri assassine, redistribuzione del reddito, TAV, diritti alla casa, diritti di cittadinanza, liberalizzazione delle droghe. Non si parla di tutto ciò, ma lo si fa con un tono leggero, quasi un pò hipster, dal forte impatto mediatico. I retweets si inseguono ad una velocità da capogiro, l’entusiasmo condensato in 140 caratteri alla volta, altro populismo spicciolo sparso da un hashtag che diventa Topic in poco tempo. Le immagini sono forse il mezzo migliore per descrivere questa giornata, immagini di tanta gente, simili nell’aspetto, con il pass d’ordinanza appeso al collo e il viso sorridente. Tanta retorica sul “Paese Reale”,  tanti applausi e musica commerciale ed il cronometro che scorre imperterrito: ” i 4 minuti a vostra disposizione sono terminati”

Nello stesso giorno, nel vero paese reale, andava in scena l’ultima tragedia annunciata. #ExColorificio di #Pisa, realtà occupata da circa un anno, vero luogo di resistenza culturale veniva sgomb(e)rato da una DIGOS un pò “sorpresa”. Il sindaco di Pisa è Filippeschi, PD, stesso partito di Renzi, toscano come lui, ma alla Leopolda un tavolo su Pisa non c’era, evidentemente sarebbe stato il 101° tavolo e a qualcuno magari il numero 101 porta sfiga. @Flaccidia coglie bene la differenza e mette insieme le immagini provenienti dai due hashtags, trovate voi le differenze. Io sono già troppo nauseato da questa pantomima di sinistra hipster e poi anche i miei ” 4 minuti a vostra disposizione” stanno per terminare.

Si prega di inserire un nuovo gettone.

 

 

#19O: la piazza, il cyberspazio e i nervi #Saldi

Era nell’aria già da un pò.
Era già successo, tutto quanto.
Come se fosse un parodosso filosofico, il problema e la sua stessa soluzione si erano già presentati.
Andiamo con ordine: partiamo dal 3 Luglio 2011, giornata di manifestazione NoTav importantissima per comprendere le dinamiche che per l’ennesima volta si sono presentate durante la manifestazione di sabato scorso, ormai condensata nell’immaginario collettivo (di lotta e di vita quotidiana) come #19O.
Della lunga giornata del luglio 2011 una cronaca completa e tematica, compreso l‘ hijacking dell’hashtag nervi #Saldi, effettuata da @elpinta e da @wu_ming_foundt, qui e qui, per rinfrescare le meningi, in quel giorno si era organizzata un’imponente manifestazione NoTav in risposta alla repressività delle istituzioni, che, qualche tempo prima, avevano occupato la”Libera Repubblica della Maddalena”.

Manifesto NoTav 3/07/2011

Una prima differenza rispetto al #19O è rappresentata dal #M5S che, con l’endorsement e la presenza di Grillo, appoggiava la manifestazione. Divertente notare come il #M5S si sia, per così dire, dimenticato che le vertenze di fondo del movimento NoTav anche nella giornata del #19O erano uguali a quelle del Luglio 2011, e che potevano essere benissimo raccolte nell’urlo, comune a tutte le realtà presenti a Roma, “una sola grande opera: casa e redditto per tutt*”.

striscione

Alla sera del 3 Luglio 2011 era chiaro a tutti che ,oltre ad un obsoleto e consolidatissimo metodo di provocazione “sul campo” messo in atto dalle FDO (forse dell’ordine?) –fatto di lacrimogeni sparati in faccia e sassate dai cavalcavia– per ottenere una risposta violenta da parte dei manifestanti, si era aggiunto un secondo e più efficace “trappolone”: quello rappresentato dai giornalisti mainstream che per tutta la giornata avevano dato copertura all’evento.
Durante la giornata, infatti, si aveva avuto una sensazione di fortissima “dissociazione” o “scollatura” tra quello che centinaia di attivisti e hacktivists raccontavano in diretta e le notizie riportate dalle principali testate online. Già allora il più violento attacco mediatico contro il movimento era venuto proprio da repubblica ed altri giornali “di area”, mentre la solita stampa filofascia o filoberlusconiana si limitava ad insultare “zecche, noglobal e blecbloc” senza troppa enfasi, ma con i toni ed i registri a cui tutti siamo ormai abituati.
Dunque da un lato abbiamo l’informazione mainstream, incapace di narrare la giornata di protesta con un tono “neutro” e dall’altro centinaia di attivist* che, oltre a mettere in gioco il proprio corpo e spesso anche la propria incolumità fisica, attraverso il massiccio impiego di twitter e di altre piattaforme, erano diventati informatori diretti e senza filtri, per tutta la durata dell’evento. Già la sera del 3 luglio su Giap! -il blog dei Wu Ming- si capiva come la narrazione della lotta (e forse di ogni lotta) dovesse essere veicolata attraverso chi alla lotta stessa partecipava, in maniera diretta e naturale, soprattutto dati gli interessi di parte che muovevano (e muovono) i media mainstream su tutto quello che riguarda il TAV. L’ uso di una narrazione tossica, atta a far passare il movimento Notav nella sua interezza come una cloaca di terroristi, è un fattore critico se pensiamo che il Movimento della Valle che Resiste sopravvive grazie al fatto che è una lotta che abbraccia una moltitudine di tematiche che non riguardano solo la Val Susa, ma che sono proprie di numerose realtà territoriali e anche nazionali.

repubblica

Come per il 3 Luglio 2011, anche per il #19O appena trascorso i media mainstream presenti diventavano i veri “agitatori” della manifestazione, con l’aggravante di ignorare completamente le dimostrazioni di solidarietà e compattezza sociale, in favore di qualche scaramuccia di poco conto con la GdF, davanti al Ministero dell’ Economia. Utilizzo non a caso il termine “scaramuccia” poichè, la stessa Procura di Roma, solerte come quella torinese, che si è caratterizzata per una vera e propria strategia di repressione del dissenso, condannando a pene durissime i compagni coinvolti negli scontri passati, non è riuscita a trovare prove per ingabbiare i compagni e le compagne fermate Sabato #19O (altro evidente successo della manifestazione che non ha accettato la divisione fra “buoni e cattivi”, ha dimostrato solidarietà davanti al tribunale e ha continuato a ripetere lo slogan “Si parte e si torna insieme” proprio del Movimento NoTav). Come per il 3 luglio 2011 una altro trappolone si è rivelato essere il comportamento delle FDO, che hanno attuato una vera e propria strategia di FUD (che gli si è rivoltata contro), ma di questo parleremo tra un attimo. Una anomalia significativa è rappresentata dal fattore Caccapound (che occupava il posto che gli spetta, alle spalle della celere) che, mentre venivano fermati e perquisiti autobus di compagni e compagne, posavano in bella mostra, davanti al loro tugurio, armati e cascati di tutto punto.

caccapound

Un altro fatto rilevante può essere rappresentato dall’attacco DDoS dei compagn* di Anonymous che, con una tempistica impeccabile, entravano nel cuore della manifestazione e, simbolicamente, partecipavano all’assedio del Ministero dell’Economia. Se pensiamo al filone narrativo Cyberpunk,alla sua estetica ed al suo illustre esponente W. Gibson, e ci ricordiamo di quella rappresentazione schematica del cyberspazio, come della somma dei dati umani (Matrice), la raffigurazione plastica dell’assenza di segnale distribuito potrebbe essere intesa come un immenso palazzo pulsante che viene virtualmente assediato da migliaia di richieste di servizio.

cyberspazio

L’attacco di Anonymous inoltre si inserisce nel contesto che, secondo me, ha portato al successo la #sollevazione generale, ovvero il concetto di condivisione del knowhow di lotta. Ogni realtà presente a Roma ha partecipato sia nell’organizzazione che nella gestione della manifestazione, riuscendo ad accomunare moltissime espressioni di protesta territoriali in un’unica narrazione corale, un caleidoscopio di storie personali e di protesta, che è riuscito ad unire sotto poche tematiche, decise e sentite, una galassia di vertenze più o meno locali. Insomma si è creato un blocco sociale compatto e gioioso, che, come scrive il collettivo Wu Ming ormai da diversi anni, è riuscito a far passare il messaggio che ogni lotta è collegata, ed ogni conflitto è una risorsa anche per chi, quel conflitto, non lo sta vivendo sulla propria pelle.

Come accennavo prima riguardo alle tattiche di FUD messe in atto (cariche al Pigneto, pesante clima di intimidazione con perquisizioni e fogli di via, blocchi ai caselli autostradali) non dobbiamo meravigliarci più tanto. Sia il 3/07/2011 che il #19O abbiamo assistito al solito copione intimidatorio: partendo da qualche giorno prima della manifestazione alle dichiarazioni dei politici, corrispondevano paranoici articoli su la repubblica cartacea e online e sul sito dell’espresso, che parlavano di “blecbloc” e squadroni di attivisti, “professionisti della violenza”, pronti a mettere a ferro e fuoco la Capitale.
Nel saggio “La protesta e il controllo” [AltraEconomia Edizioni, 2004] Donatella Della Porta mostra come queste operazioni di FUD fossero attive in Italia fin da Genova 2001 e ancora prima a Gotenborg e a Seattle. L’etimologia della sigla FUD, originatasi dapprima nell’ambiente informatico e successivamente prestato al trading ed altre aree (politica, marketing), descrive una serie di informazioni studiate a tavolino per suscitare nei target una forte reazione di incertezza o paura. Nel caso del controllo della protesta le tattiche sono innumerevoli, ma nella giornata di sabato scorso il blocco sociale di cui parlavo prima non si è lasciato intimidire e de facto ha evitato di cadere vittima di questa ennesima trappola preventiva.
Insomma raccontare le lotte come una sola storia ha avuto l’effetto sperato e, nonostante la paura di molti compagni, il #19O segna un nuovo passo, un ulteriore step forward, nel rilanciare un movimento che sia davvero popolare e a-leaderistico, e che raggiunga tutti i *dannati* di questa Italia, sempre più angosciata e triste, schiacciata tra una politica inesistente ed un criptofascismo endemico, piegata alle leggi di un mercato ed un sistema che non vogliamo e che non ci rappresenta.

 

EDIT segnalo a tutt* il posto di Giuliano Santoro aka @amicofaralla  su Giap! dove si discute del #19o e di cosa ci si aspetta possa cambiare nelle lotte territoriali.

Qualche Link per approndire la discussione post-#19O:

Infoaut: Siamo in Movimento

Collettivo Militant: Alcune Riflessioni sulla manifestazione del 19 Ottobre

Nexus Move: Ermeneutica della Resistenza

DinamoPress: Assemblea a #PortaPia

CommuniaRoma: Vincono i Movimenti

 

Noi Saremo Tutto

“La velocità è il senso della vita, il senso della vita è la velocità”
 La Velocità
Il Pan Del Diavolo

Immaginate di non essere voi stessi.
Immaginatevi nei panni di due esseri umani totalmente distanti tra loro, agli antipodi di qualsiasi cosa vi venga in mente.
Immaginatevi nei panni di un importante broker newyorkese (soggetto n°1). Anzi molto meglio dell’immaginazione vorrei che usaste l’immedesimazione; voglio che sentiate sulla vostra pelle la morbidezza del completo tre pezzi Armani da 5000 US Dollars, che sentiate la brezza marina della City attraverso il vostro perfetto e costosissimo taglio di capelli, che sentiate l’odore degli interni della berlina Lexus nuova di pacca che viene a prendervi nell’atrio della vostro megaloft in Upper East Side, per portarvi al lavoro, nel cuore della City, Manhatthan, il ventre della bestia.
Facile vero? Anni e anni di retorica televisiva e/o narrativa rendono facile l’immedesimazione, ti immagini bello, elegante, profumato.
Ora, con le meningi ancora toccate da questo idillio, senza perdere la concentrazione necessaria, immedesimati in un campesino dell’america centrale (soggetto n°2), che si sveglia dopo un sonno di appena quattro ore, con le membra ancora squassate dalle 15 ore di lavoro del giorno prima, pensa al poncho usato come giaciglio, alla colazione costituita da un bicchiere di latte di capra e una foglia di coca, al carretto dello zio Josè che passa a prenderti per portarti alla piantagione. Non importa cosa coltivi o quale sia la piantagione, che sia del Cartel o di una multinazionale, se le colture siano piante di coca, marijuana o banane: la fatica è la stessa, il sudore è lo stesso.
D’un tratto ragionate sulla sequenza temporale di gesti e parole che socialmente definiamo lavoro, ma mantenete attiva nei lobi prefrontali del vostro cervello la dicotomia appena immaginata. Da un lato segretarie fighe e Consigli d’amministrazione su grandi tavoli di noce, dall’altro la terra, il sudore, il sole.
Non mi interessa, caro lettore, il tuo frame, il tuo decoder semiotico; non mi interessano le lenti costituite dalla tua esperienza e dalla tua ideologia, attraverso le quali guardi alla realtà e crei la tua interpretazione di ogni fatto, ciò che mi interessa è solo la velocità con cui i due soggetti effettivamente producono qualcosa. Il n° 2 pianta un seme oggi che ci metterà anni a divenire un albero dal quale ricavare qualche frutto, prodotto che non apparterà al campesino che lo ha coltivato e che quindi non potrà econometricamente ricavare nulla dagli anni spesi a lavorare la terra. Ecco l’alienazione. Non la noia di un movimento ripetitivo tipo catena di montaggio (con cui da anni si costruisce una narrazione tossica intorno a Marx), ma l’alienazione vera, quella tra il salariato e l’oggetto del suo lavoro, tra la merce e chi l’ha prodotta.
Ecco la metafisica del denaro, non olet, non ha provenienza, una volta che finisce nel grande circuito mondiale del libero mercato perde ogni connotazione fisica. Una volta che abbastanza denaro è stato accumulato, un bene materiale, una dimensione fisica, sparisce, perde ogni proprietà meccanica, con una legge che potremmo tranquillamente definire direttamente proporzionale alla quantità di denaro accumulato. Chi ne possiede tanto si è liberato dalla fisicità del denaro stesso e lo ha trasformato in altro, ed una volta che lo ha fatto, la velocità con cui riesce a produrre altro denaro a partire dal denaro stesso è freneticamente oscena. In pochi secondi, in qualche frammento di Mbyte su un computer aziendale, le piccole variazioni di un titolo in borsa sono in grado di generare utili spaventosi, plusvalenze enormi per alcuni, mentre condannano alla miseria programmata interi paesi.
Un’altra volta, caro lettore, non sono interessato a suscitare in te una reazione di qualsiasi tipo, voglio solo che un lato del tuo cervello pensi all’enorme quantità di ricchezza accumulata da qualche migliaio di individui o corporazioni, siano essi multinazionali o cartelli della droga o monarchi o dittatori o semplici ereditieri con una spiccata predisposizione al pornoamatoriale. L’altro lato mantienilo concentrato sulla velocità: secondi per generare miliardi di US Dollars, anni per generare una pianta.
Da questa dicotomia non si scappa, non c’è via di uscita, non è Matrix, anche se gli somiglia abbastanza. Un sistema perfetto, dolce e subdolo allo stesso tempo, che narcotizza con il benessere per risucchiarti ogni passione ogni forza vitale, ogni energia che potrebbe essere usata in una maniera che il tempo capitalistico troverebbe non opportunamente produttivo. 
Dai contrasti usati sopra, dalle dicotomie che formano “i punti di sutura” mitologici, origina il titolo del post, il titolo dell’omonimo libro di Evangelisti, lo slogan usato dal sindacato/partito IWW, Industrial Workers of the World, che nell’America degli anni ’20 sosteneva i diritti degli Wobblies, lavorotari (spesso migranti) con pochissimi diritti, schiavizzati dalle nascenti corporazioni americane -è interessante notare un’altra dicotomia tra i Ruggenti anni ’20 popolari nella cultura mainstream, fatti di canzonette e reggicapelli piumati vs. i veri anni 20 fatti di pochi diritti, tante botte da parte di polizia e gunthugs mafiosi, vero e proprio braccio armato dei “capitani di industria”, vedasi caso di Nick Sacco e Bart Vanzetti; ogni riferimento all’epoca odierna è voluto e non casuale-.

Noi Saremo Tutto è uno slogan potentissimo, da ripetere come un mantra, un antibrand che poggia la sua potenza su un concetto tanto semplice quanto poco visibile: l’a-temporalità. Prendete ad esempio slogan posticci tipo “se non ora quando” di saviana memoria, il motto è già la condanna a morte del movimento. Noi saremo Tutto non ha tempo, non ha spazio, è inelettubile (non si può scappare dal Tutto), è minaccioso quanto basta e sopratutto interrompe la meccanica temporale del capitalismo, poichè il futuro semplice del verbo essere lo pone avanti indefinitamente nel tempo, lo cristallizza nel futuro, una dimensione non fisica, non prevedibile.
In un sistema definito caotico l’unica certezza sono le condizioni iniziali poichè gli unici modelli attendibili sono di tipo stocastico, quindi probabilistico ovvero: potrebbe succedere x, ma anche y. La realtà potrebbe essere considerato il più caotico dei sistemi, anche se spesso ci sembra prevedibile e routinaria, governata da legge e ordine invece che da imprevedibilità e casualità, ma ciononostante sembra impossibile trovare un modello probabilistico realmente funzionante con la nostra vita a causa delle troppe variabili e troppe insicurezze.

Ma se per un attimo, per un solo secondo, dopo tanto sforzo di immaginazione, alla fine di questo lungo ed inutile post, immaginando voi stessi nei panni di qualcun altro che conoscete bene, rivendicando la vostra possibilità di dare dell’IO a qualcun altro, calandovi, ancora una volta, nei suoi panni, nei suoi problemi, nelle sue aspettative (che scoprirete non essere molto lontane dalle vostre), vi ripetete dal SUO punto di vista: “noi, saremo tutto” forse correte il rischio di sentirvi meno insicuri e magari avrete trovato una piccola costante.

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi

 

Ho imparato che il mondo degli uomini così com’è oggi è una burocrazia. È una verità ovvia, certo, per quanto ignorarla provochi grandi sofferenze. Ma ho anche scoperto, nell’unico modo in cui un uomo impara sul serio le cose importanti, la vera dote richiesta per fare strada in una burocrazia. Per fare strada sul serio, dico: fai bene, distinguiti, servi. Ho scoperto la chiave. La chiave non è l’efficienza, o la rettitudine, o l’intuizione, o la saggezza. Non è l’astuzia politica, la capacità di relazione, la pura intelligenza, la lealtà, la lungimiranza o una qualsiasi delle qualità che il mondo burocratico chiama virtù e mette alla prova. La chiave è una certa capacità alla base di tutte queste qualità, più o meno come la capacità di respirare e pompare il sangue sta alla base di tutti i pensieri e le azioni. La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che preclude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senz’aria. La chiave è la capacità, innata o acquisita, di trovare l’altra faccia della ripetizione meccanica, dell’inezia, dell’insignificante, del ripetitivo, dell’inutilmente complesso. Essere, in una parola, inannoiabile.”

 

 

Così scriveva David Foster Wallace nel Re Pallido.

Nella letteratura o nella cinematografia (più in generale nel’immaginario collettivo) il fantasma è, anche esteticamente la rappresentazione plastica della mancanza, dell’assenza. Il fantasma è etereo, incorporeo, il suo corpo intangibile non può essere toccato dai “viventi” (le virgolette le capirete dopo), la sua presenza è spesso quella dell’osservatore immobile. Nessuno spettro apparizione o fantasma propriamente detto può interagire con la materia sensibile poichè appartiene ad un mondo Oltre-il-nostro, nel quale non esiste la dimensione fisica, ma solo quella metafisica. Nella sua condizione il fantasma ,che appare in letteratura o nella fiction, è spesso legato ad un ruolo che a fare con la sua “vita” precedente: questioni irrisolte, vendette, oppure un ruolo pedagogico, da “angelo custode”, da consigliere sulle cose-della-vita. Non vi può essere apparizione spettrale senza una mancanza, una perdita. Che sia un argomento futile o profondo, il trauma da cui origine tale perdita, c’è un filo comune che lega tutte le apparizioni spettrali, la volontà di mettere le cose a posto, di farle funzionare, di riuscire a dare un senso alla vita anche dalla non-vita. In fondo ogni fantasma è un promemoria non-vivente del tempo mancante, della caducità della condizione umana e del disperato tentativo di colmare i vuoti di uno stile di vita sempre più alienante.

Oggi non si può fare un analisi semiseria e assolutamente gratuita sugli esseri spettrali senza guardare al nostro tempo, alla nostra realtà. Nella “vita” di oggi i corpi sono sfruttati continuamente, dalle condizioni di lavoro umilianti, ai centri-tempio del fitness; da chi usa i corpi come merce a chi vorrebbe dargli un valore esclusivamente economico. Sia ben chiaro che non esistono solo esempi negativi, c’è anche chi usa il proprio corpo per migliorare le proprie condizioni o quelle degli altri, chi lo usa per difendere qualcosa o qualcuno (anche quattro alberi in un parco storico), solo per citare alcuni esempi. Ma in pochi si concentrano sulla perdita, sulla mancanza. Ed ecco che oggi il fantasma che appare all’ignaro e savissimo protagonista, non è più un fatto soggettivo, che riguarda esclusivamente le storie personali dei soggetti in causa, oggi il fantasma non può esimersi dal ruolo di esempio, di monito, e ha sempre a che fare con l’alienzione della nostra specie. Nella sua temporalmente infinita non-vita il fantasma ci ricorda di cogliere ogni attimo, di viverlo fino in fondo. Nella sua incorporeità il fantasma ci ricorda di mettere in gioco anche i corpi oltre che le menti. Nel mondo dei socials l’apparizione spettrale ci ricorda (come faceva DFW) il paradosso del nostro tempo, fatto di persone continuamente online e profondamente disconnesse le une dalle altre.

La “vita” feticizzata in una delle sue declinazioni commerciali non appartiene più allo spettro, che libero dalla società dei soggetti catturati e degli oggetti posseduti, acquisisce una nuova prospettiva che, liberata dall’azione, si concentra sull’essenziale; cosa ci può essere di essenziale per un essere senziente ma non-vivo? Proprio quella vita che oggi, continuamente, derubrichiamo ad oggetto. Proprio quella vita che molti di noi oggi stanno perdendo guardando lo schermo colorato di uno smartphone, invece di guardare negli occhi la persona che hai davanti.

 

 

Qualcuno si è perso

C’è qualcuno che si è perso.
C’è qualcuno che ha perso la strada, qualcun altro la casa.
Bisognerebbe ragionare su cosa vuol dire perdere la casa, se ci stiamo riferendo all’atto dello smarrire le chiavi o vedersi pignorare l’abitazione.
C’è chi perde il lavoro. Chi perde la macchina, chi la fidanzata, chi perde un figlio. 
In fondo c’è gente che ha perso tutto e ormai non si ricorda neanche più ciò che aveva perso. 
Io non so che cosa ho perso, ma sono abbastanza sicuro di aver perso qualcosa; non so quando è successo, non me lo ricordo oppure non l’ho mai saputo, ma per certo so che mi manca qualcosa. Se sia qualcosa che ho proprio perso piuttosto che qualcosa che non ho mai posseduto non te lo so dire, resta il fatto che se uno non riesce neanche a focalizzare ciò che ha smarrito neanche può essere tanto sicuro di aver perso qualche cosa. E’ una sensazione strana. Ti lascia un pò vuoto, un pò straniato.
Poi ad un tratto, a volte, la consapevolezza ti prende alle spalle, ti stende con la forza di un pugno nelle reni, ti fa rendere conto all’improvviso che cos’era quello che ti sei perso. Mi sarà capitato centinaia di volte nella vita, di essere preso a pugni dall’improvviso ricordarsi di qualcosa. Il dentista una volta, un compleanno un’ altra etc etc. Anche fisicamente mi porto una mano allo fronte in un piccolo gesto di autopunizione, dandomi un leggero ma sonoro schiaffo: “ma porc….”. Eppure ripensandoci ora, che penso di non aver scordato niente, non sono del tutto sicuro di ricordarmi se e che cosa ho perso.
Questa in fondo è una condizione comune al giorno d’oggi.
Se osservi i tuoi simili muoversi nella sicurezza di un ambiente affollato, come può essere un centro cittadino o un supermercato all’ora di punta, ti accorgi che tutti sembrano indaffarati, camminano da soli o in gruppo, ma si muovono svelti, determinati verso il loro obiettivo, verso la loro meta. E’ solo quando li guardi attentamente, spogliandoti della fretta e della meta che ti accorgi che tutti, ma proprio tutti, sono così frenetici perchè cercano quello che si sono persi. Non importa se li osservi mentre mettono un pacco di biscotti nel loro carrello o se si accendono una sigaretta accanto a te, aspettando che il semaforo diventi verde per i pedoni. Non importa quanto esteriormente appaiano calmi, concentrati, sicuri, sono tutti mancanti di un qualcosa, mutilati da una leggera imperfezione; se provi a fermare qualsiasi persona in mezzo ad un gruppo affollato di gente sconosciuta per porgli una domanda semplice del tipo: “Scusi potrebbe mica dirmi che ore sono?” o “Gentilmente avrebbe da accendere?”, avrai come risposta un gesto sbrigativo condito da monosillabi. In men che non si dica ti ritroverai di nuovo a fissare il movimento intorno a te mentre il tuo interlocutore avrà già preso il largo diretto alla sua meta. La fretta è il collante di ogni luogo affollato, il tessuto connettivo tra gli strati sociali. Se pensi a quanto la fretta sia così implicitamente accettata come costume sociale, come base di ogni relazione sociale con sconosciuti, potrebbe stupirti la facilità con cui sia entrata anche nella tua vita. La fretta, la velocità, che sembrano essere diventate la vita stessa, non sono altro che un sintomo causato dalla perdita.
A questo punto sarebbe anche lecito chiedersi: ma da che cosa deriva la perdita e la fretta di colmare questo vuoto?
E qui sarebbe lecito rispondere che è impossibile stabilirlo con precisione.
E’ impossibile con metodo scientificamente approvabile, riprodurre l’insieme di cause che hanno portato l’homo sapiens sapiens ad evolversi nell’homo celerens. A noi rimane solo il sintomo, un archetipo junghiano che si agita all’interno della coscienza collettiva, che pulsa ad un ritmo sincrono a quello del progresso e dell’overdose informativa. Un archetipo 2.0, più social, che invece di costruire nella massa una struttura psicologica collettiva, de-costruisce ciò che abbiamo accumulato per generazioni; estende il tempo ad un presente eterno, ad un secondo infinito, ad un attimo perpetuo. Da un lato seduce chiunque bisbigliando al subconscio parole melliflue, con schemi ben precisi di evoluzione, ma dall’altro feticizza l’esistenza stessa.
Ed è forse proprio questo il punto di origine de “La Perdita”, il peccato originale della mancanza. Oggi identifichiamo la vita con uno dei suoi molteplici feticci, condensiamo l’esistenza in una sola delle sue molteplici declinazioni. E’ forse proprio questa la causa che da origine a questa specie di disabilità nella coscienza collettiva, i cui effetti sono lo smarrimento ed il dover accelerare continuamente per cercare di riempire i vuoti. Insomma si potrebbe dire che tutto origina dalla nostra umana compulsione a possedere oggetti e a catturare soggetti.
Quindi la prossima volta che chiederai l’ora ad un estraneo o camminerai in un luogo caotico ed affollato, fermati. 
E’ facile rendersi conto che da fermi si gode di una prospettiva assolutamente antigerarchica, quasi zen. 
E’ facile rendersi conto che da fermi è molto difficile perdere qualcosa e anche se dovesse capitarti è molto probabile che ritrovi subito ciò che avevi perso.

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perchè #Macao fa paura al potere?

Perchè?
E’ la domanda che più persone si ponevano ieri pomeriggio.
“Perchè?” Si chiedeva una ragazza coi dreads “Perchè Ligresti lo rivuole sto cazzo di palazzo, non glie ne fregava niente fino a domenica scorsa, è stato quindici anni in disuso!!”.
Uno dei pochi pochi casi al mondo in cui nella domanda è già contenuta la risposta: non gliene fregava un cazzo fino a quando alla ragazza coi dreads non gliene fregava un cazzo.
Veloce cronologia della giornata:

  1. alba: arrivano i cops
  2. poi si effettua lo sgombero senza particolari tafferugli
  3. poi arriva Dario Fo, pioniere delle occupazioni come forma artistica di protesta e con una lucidità incredibile usa la metafora del pezzo di pane per rispondere alla ragazza coi dreads
  4. poi si organizza come forma di protesta una assemblea permanente davanti a M^c^o
  5. poi arrivano vari artisti più o meno famosi a portare la  loro solidarietà
  6. poi arriva B. Rizzo che difende gli occupanti sgomberati
  7. poi si continua l’assemblea mentre arriva sempre più gente
  8. poi arriva il Sig. Sindaco e promette una nuova area per continuare il progetto nato con l’occupazione della torre Galfa
  9. infine la sera concerto pubblico, palco, etc etc
Al di fuori della cronologia degli eventi, che ha il solo scopo di chiarire a grandi linee come si è svolta la giornata, la cosa sulla quale il sottoscritto poster vorrebbe che si soffermassero le altrui coscienze è la velocità intercorsa tra la “Presa” della torre Galfa ed il suo sgombero (poco più di una settimana). Certo, direte voi altrui coscienze, in una città come Milano in cui il fenomeno delle occupazioni di spazi sociali è ostracizzato aspramente (vedi Bottiglieria) non dovrebbe stupire che il Sig. Ligresti, resosi conto di quanto stava per accadere, abbia fatto pressioni su Prefettura & C. per liberare il palazzo che attraverso una sua società gli appartiene. Non dovrebbe stupire le altrui coscienze neanche il fatto che una palazzina di 21 piani inabitata da 15 anni fosse reclamata come urgente dal suo proprietario de facto, tuttavia esiste un aspetto significativo, che nei vari tiggì, locali e non, che parlavano ieri dell’argomento è rimasto inespresso: lo sgombero era un pretesto, una provocazione (ovviamente), ma il vero motivo della repentinità dell’azione dello Stato è stato la paura. Come lo stesso Dario Fo prova a spiegare : “questi si sono cagati sotto”.
ed eccoci di nuovo alla domoanda del titolo: perchè paura? perchè in meno di una settimana M^c^o è stato visitato da una media di 700 persone al giorno, partendo dal centinaio che l’hanno occupato ed arrivando a domenica scorsa ad un totale di più di duemila persone; perchè ad una struttura decrepita e senza niente (elettricità, tubature, a volte finestre) si stavano interessando persone comuni (giovani, famiglie, artisti) ed anche celebrità (Picco, Fo, Bignardi etc); perchè come si evince dai video di M^c^o Vox Populi durante le Passeggiate Verticali si incontrava dalla famiglia alla signora Nostalgica, dal giovane “alternativo” (odio questa parola) al fotografo curioso, ed in poco tempo tutta queste gente stava diventando consapevole delle potenzialità offerte da uno spazio pubblico di natura oscenamente proletaria.
Il solo fatto di essere consapevole della Potenza (non a caso in maiuscolo) che esercitava l’occupazione e la rivendicazione di un luogo dove promuovere la cultura (non a caso in minuscolo) a 360°, senza borghesismi accademici o luoghi formali di rappresentazione, faceva scattare qualcosa al visitatore, qualcosa di profondo ed intenso.
Se pensiamo al mare come metafora junghiana del subconscio, imamginatevi M^c^o come metafora del superego. La vecchia, decrepita e malandata palazzina suscita nel passante, così come nell’occupante, l’ idea che attraverso l’espressione artistica (o meglio la technè degli attori tragici greci), di qualsiasi natura o forma essa sia (anche scrivere con un pennarello una poesia su un muro), si stia PRODUCENDO cambiamento. In maniera effettiva, reale.
Il Progetto M^c^o rende facile a chiunque partecipare, contribuire alla condivisione del bisogno di arte e di spazi nuovi dove rappresentarla. Costringe chiunque ne senta parlare a scegliere una parte; ti obbliga ad essere parte attiva in un processo. Ti costringe a fare i conti con la voglia biologicamente umana di conservare l’equilibrio raggiunto, e quella metafisicamente umana di esplorare l’ignoto; ti scuote perchè ti mette davanti ad una realtà che è costruita sulla coscienza collettiva e ti invoglia a essere più partecipe perchè il tuo ego ne HA BISOGNO: vero e proprio doping per il tuo spirito critico.
Ed ecco perchè Pisapia è corso ieri a tranquilizzare il popolo di M^c^o (“…..Il Comune vi darà un altro spazio….”), perchè le menti erano sveglie ed incazzate; le stesse che hanno sostenuto Pisapia e l’idea sulla quale ha vinto le amministrative:  Io sono il cambiamento. Il Sindaco ha capito che si stava giocando una partita politicamente importante e si è precipitato ad offrire nuovi luoghi al Progetto (di nuovo paura).
La paura deve aver attanagliato anche Ligresti sia livello superficiale, sia ad un livello più profondo: superficialmente la paura di non riottenere la sua proprietà “inutilizzata” e quindi di perdere parte del fondamento del proprio potere (ovvero la percezione che si ha dello stesso). L’effetto immediato di questo processo è quello di produrre una risposta esagerata come manifestazione della propria capacità di influenza: “chiamo il Prefetto, il Sindaco, il Questore e vi faccio sbattere fuori”; che ricorda molto il bambino che non sapendo bene giocare a calcio urla: “il pallone è mio e non si gioca più”.
Inconsciamente però si deve essere sentito come l’Uomo davanti alla giungla tropicale di Lorenz, oppure l’Uomo davanti allo spazio profondo di Ballard.
Impaurito.

Post narrativo non identificato #1

“qua diventiamo come un accampamento di zingari” dice.
dice “ci ruberanno il lavoro, i suv e ci svaligeranno le case”
“ma chi?” ribatte la ragazza. “ma come chi? ma ce li hai gli occhi?” dice lui. è arrabbiato. mentre mangia il pansotto. il sugo gli cola sul mento, gli sporca la camicia bianca e gli unge la cravatta verde. tira fuori un fazzoletto verde dal taschino della camicia si asciuga, se lo passa sulla bocca e sul naso e so lo rimette nel taschino piegato come prima.
lei lo guarda, faccia liscia, senza emozioni. è bella, bionda e vestita di grigio, occhiali stretti alla moda e scarpe basse.
del pansotto rimangono solo tracce di unto sulle dita che vengono pilucatte rumorosamente. un perfetto finale per il passaggio da stato solido a poltiglia, condito con saliva. soffocando un rutto continua “la gente non ne può più! poi sti qua usano i loro luoghi di culto come copertura, per commettere reati schifosi”.
“ahhhh” dice lei ” sta parlando dei preti pedofili! Come don Polpo…” e scrive qualcosa sul taccuino.
“cazzo dici” fa lui “sto parlando di sti islamici finocchi repressi, sti negher e di sti zingari di merda”. altra riga aggiunta sul taccuino. “io li vorrei vedere bruciare tutti, bisognerebbe annegarli da piccoli, ma fanno tenerezza come un piccolo di alligatore, poi crescono e ce ne pentiamo, ma è troppo tardi l’alligatore ti ha già morso”. riga sul taccuino.
” ok” fa lei “va bene se scrivo che: -i migranti avrebbero bisogno di poltiche sociali adeguate per svincolarli dal contesto di povertà nella quale giungono in Italia al fine di evitare il loro ingresso nelle file della criminalità e per favorire l’integrazione-?”
“perfetto” fa lui, poi la scruta con attenzione, guarda come è vestita “non ti ho mai visto prima, sei nuova?” “si oggi è il mio primo giorno” “brava, allora da domani mettiti un vestito decente e levati gli occhiali, usa le lenti” dice.
e con una mano si gratta il pacco.
“come vuole, Sottosegretario. Adesso è pronto?” le risponde lei senza guardarlo, gli occhi ancora sul taccuino.
“certo facciamolo”
Lei si gira verso di me “ehi tu, dai svegliati che cominciamo con l’intervista”.
Io accendo la telecamera.